
Mercato unico energetico e ritorno al nucleare tra le richieste delle imprese
Già dalla fine del 2024, le rilevazioni avevano evidenziato come i costi energetici in crescita rappresentassero, assieme al calo della domanda, le negative costanti del periodo. Un trend che ha manifestato il medesimo andamento anche nel nuovo anno. Per questa ragione le Pmi aderenti al sistema di Confapi Lombardia hanno espresso la loro opinione sull’urgenza di identificazione di strumenti volti a ridurre l’energy gap del Paese. Indicazioni raccolte ed analizzate in un apposito report condotto dal Centro Studi dell’Associazione, volto ad indagare le sacche entro le quali si annidano i freni alla competitività. In prima battuta, per la metà del campione composto da 300 aziende intervistate, la classificazione di “energivoro” (indipendentemente dalla dimensione aziendale, è quell’impresa che sostiene consumi di energia annui superiori a 1 milione di kw/h) non è esaustiva, ritenendo necessari adeguamenti, tra i quali l’istituzione di un indice energetico (rapporto tra costo dell’energia e fatturato aziendale). Altro fattore identificato come strategico per colmare i gap di competitività è rappresentato dall’introduzione nel nostro Paese di sistemi di produzione di energia nucleare, alla quale è favorevole il 74% del totale. Tale tecnologia consentirebbe all’Italia di guadagnare autonomia energetica - lo crede l’80% del campione -, migliorerebbe la competitività delle imprese italiane (73%) e rappresenterebbe una stabile alternativa alle rinnovabili (74%). Grande attenzione, inoltre, per l’istituzione di un mercato unico energetico europeo. Il 77% del campione, infatti, si dice totalmente contrario all’offerta da parte dei produttori di energia a quotazioni differenti nei diversi Paesi dell’Unione. Una condizione quest’ultima che viene riconosciuta come una vera e propria distorsione del mercato interno ai 27. Il 60% ambirebbe ad una determinazione dei prezzi dell’energia a livello europeo e ciò rafforzerebbe le istituzioni continentali rispetto ai competitor mondiali (58%). Inoltre, reti integrate stabilizzerebbero le oscillazioni della produzione dovute al mix composto da fonti fossili e rinnovabili (46%) e aumenterebbe la competitività tra produttori, a beneficio degli acquirenti (42%). Infine, risultano in prevalenza negative le opinioni relative ai principali strumenti di sostegno connessi ai costi energetici. Eccessiva la burocrazia per installazione (66%) e gestione (69%) di energie rinnovabili e relative pratiche autorizzative, così come i bandi ad esse connessi: troppo complessi e necessario il supporto di consulenti per aderirvi. Tra le Pmi lombarde, inoltre, molto contenuto l’interesse per la misura Energy Release. Sono, infatti, due le aziende su dieci ad averne fatto uso nella prima edizione o nella seconda, con una schiacciante maggioranza di aderenti alla forma aggregata (77%). «Il tema energia resta nevralgico per il sistema delle imprese lombarde – commenta il presidente di Confapi Lombardia Pierluigi Cordua – e risultano più che mai urgenti interventi che mettano in cassaforte la competitività italiana nel confronto, in prima battuta, con quella dei Paesi Ue. Tali azioni, a nostro avviso, risultano necessarie a prescindere dall’attuale livello delle quotazioni, perché cristallizzerebbero l’esigenza di una parità di condizioni nei fondamentali del business dell’industria in tutta Europa». In questo contesto, «intraprendere il percorso che porti all’istituzione di un mercato energetico continentale risulta a nostro avviso un obiettivo imprescindibile – continua Cordua -, così come la dotazione italiana di una ulteriore fonte energetica sostenibile e sicura quale il nucleare di ultima generazione». Si tratta, in entrambi i casi, di strumenti i cui effetti potrebbero portare benefici solo nel medio periodo, «per questa ragione, insistiamo sulla necessità che le agevolazioni nazionali non vengano esclusivamente erogate a soggetti categorizzati solo in base al consumo annuo di energia, come nel caso di Energy Release, bensì riteniamo non più procrastinabile l’istituzione – o l’accostamento – di un’ulteriore categoria produttiva che, pur consumando meno in termini assoluti, registri un’incidenza elevata sul giro d’affari. In questo segmento, infatti, potrebbe risiedere il maggiore rischio di sopravvivenza, soprattutto nell’attuale contesto contraddistinto da domanda generalizzata debole ed alte quotazioni dell’energia».
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